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Poesie di Gerardo Di Pietro
Grappoli turgidi di ricordi da spremere nel vaso dell‘anima già pronto a raccogliere il nettare di vita, o nelle mani giunte a coppa, o forse in preghiera? Da balze selvose ammiccano tenaci, o emanano fragranza da zolle fresche di terra da poco rivolte, o dietro i canti attendono furtivi, ti prendono, t‘afferrano, ti fagocitano, come la mantissa il compagno al colmo del piacere. E tutt‘uno diventi, dolcemente acconsenti, e sei carne loro, e sono carne tua, e lo spirito si fonde con la prana atavica. Sei radice e chioma, seme e terra, cielo della tua terra, acque delle sue sorgenti, fiori dei suoi campi, gente della sua gente
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Tranquille e grevi s'accavallano le ore nella bigoncia quasi colma del passato. Foglie ingiallite nel nostro cimitero e nuove croci per chi ci ha lasciato. Due colombe si lasciano dal vento portare verso un tetto più assolato; voglio volare anch'io con la mente verso i miei cari che m'hanno abbandonato.
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Nuvole che passano nel cielo, foglie cadenti, pallido il sol e l'anima languente e il giorno ruba all'uomo la sua vita come le foglie gialle ruba il vento. Talvolta piove, a volte sonnolente passano le ore. Stanco è l'amore e il cuor vuol già dormire sotto la stanca coltre dell'oblio. Stormiscono le fronde con più rumore all'alito del vento come gli inariditi miei pensieri; però nell'aria aleggia a me d'intorno una promessa languida di pace.
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L ‘ora si ferma e attende con mille parole mai dette, che tacciono per sempre. Nel cuore di chi rimane s ‘assopiscono i rancori e s‘inteneriscono i ricordi nel pianto amaro dell’addio. Ma i1 tiepido calore dell’anima vincerà i1 freddo e in un giorno di primavera spunterà ancora l‘amore. Chiazze rosee nel mondo delle favole dal cielo senza limiti, rimarranno i giorni giovani e la vita spenderà altri sorrisi e altre lacrime.
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Ci risiamo; non puoi tollerare chi si pavoneggia con belle parole pescando in antiche verità, che solo lui crede di comprendere. Ciarlando e leggendo, alcuni credono di aver esaurito il loro compito e non capiscono che le parole sono azioni espresse, incitamenti dell'anima a realizzare ciò che si predica. Ci risiamo; perché t'aspetti anche dagli altri quello che tu stesso fai come se tutte le genti fossero coerenti con le verità che esprimono? Sono anch'essi uomini. Ma allora perché continuano a dichiararsi infallibili? Su questo c'è molto da scrivere, ma è meglio ignorare ciò che non ti compete e lasciare al proprio destino i deboli.
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tra aculei uncinati polposa, granulosa annerisci le siepi ai bordi delle vie. Una volta bastava soffiare la polvere per gustare il tuo sapore agrodolce, oggi, inquinata di piombo, sarebbe più saggio lavarti prima di assaggiarti. Quando però ti vedo severa nel tuo vestito nero, la mano ancora mi pungo per coglierti, come in altri tempi, quando riempivo manciate, senza rimorsi di ruberie: frutto senza padroni, nato tra le spine, come i miei primi anni tanto lontani.
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Urli di dolore da corpi crocefissi, tormentati da tempeste di odio, spilli acuminati trafiggono le mani, come spine di rose sbocciate nel sangue che sgorga con mille dolori. In preda di angeli caduti che soffiano nei cuori il fiato pestifero dell’inferno all’uomo in balìa di perversi pensieri che straziano le anime senza fede né amore. Rabbrividiscono le stelle sul mondo incredulo Piange la terra tinta di sangue dove non crescerà mai più un fiore, tra le aride pietraie della guerra, covi di vipere.
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Ho seminato nell’arida terra semi nuovi non conosciuti; li hanno bagnati le lacrime del sacrificio, li ha riscaldati il sole della speranza. Nel deserto sabbioso attendo invano la notte trapunta di stelle che farà germogliare per un solo istante i fiori della vita nuova al chiarore argenteo della luna.
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Le linee di frontiere ci bloccano la strada verso la libertà della mente. Sono linee invisibili come campi magnetici che ti respingono. Le hai tracciate tu stesso durante la tua vita per creare la tua sofferenza. Non le puoi varcare, sono i tabù della tua coscienza, sono le tue superstizioni, i tuoi pregiudizi. Legato ai ceppi ti trascini alla frontiera anelante la libertà che ti ammicca oltre la linea, tendi la mano e la ritiri, non vuoi passare da clandestino, hai bisogno di un passaporto fittizio che non hai mai chiesto, e che non otterrai mai.
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Sulla cima dei monti s’attarda il rosso fuoco del tramonto. Ma non sono più le cicale e i grilli della mia giovinezza che cantano sugli alberi estranei che non conosco.
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Volo come un airone con le gambe troppo lunghe distese dietro la coda. Volo in cerca dell’acqua della vita che non trovo, verso un fiume che non scorre, a caccia di pesci che non esistono, facile preda di cacciatori senza scrupoli.
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Il sole brucia la pelle bruna del contadino. Tormento di messi schiacciate nel rumore infernale di un motore. Il vecchio guarda la falce arrugginita, non canta più e sospira
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Il lago riluce sotto il sole di luglio, svaniscono i monti azzurrognoli nell’orizzonte lontano, nella foschia della canicola le rondini stridono garreggiando divorando a volo gli insetti. Il vento caldo sferza gli alberi, e il triste cimitero di case nuove, vuote di gente e di ricordi, mura fredde, che mai hanno ascoltato le grida gioiose di un bimbo, e la ninnananna di una mamma, che mai hanno asciugato il sudore dell’uomo, stanco dal lavoro dei campi. Case dove non c’è più l’ultimo respiro degli antenati, dove mura di cemento schermano ogni ricordo. Una muta di bavosi cani randagi scende per la strada con la lingua penzoloni, tra le mura nuove del cimitero abbandonato.
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Una striscia lunga di sangue unisce i due poli della mia vita da dove nacqui a dove ho vissuto, tra la luce e la pioggia, tra la forzata pigrizia e l’operoso lavoro, tra lo strisciare esaltato, e il valore premiato tra il paese dei sogni irrealizzabili e la terra della realtà.
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Bamboletta, vezzosina, visino tondo come una mela, dispensi sorrisi con gli occhietti furbetti, la mano lesta a prendere oggetti e poi a minacciare col ditino: "no, no… " e scuoti la testa ridendo, aspettando il mio rimprovero che non viene. Fiore germogliato dalla mia stirpe, cresciuto in un prato lontano di Andalusia, terra riarsa dal sole, dove nei vasti recinti delle aziende pascolano superbi i neri tori che si preparano all'apoteosi fanatica e cruenta dell'arena. Ora, in braccio alla mamma che ti porta all'aereo per ripartire, mi gridi "adios, adios nonno" con il gesto grazioso della manina. Chissà se un giorno ti vedrò grande, parlare la mia lingua per te forestiera! Chissà se un giorno seduta accanto al vecchio tuo nonno italiano potrò raccontarti le storie più belle che io appresi dai miei avi.
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Milioni erano le tue penne quando sognavi di avere le ali di Icaro. S’afflosciarono al sole prima che il tuo sogno finisse nel tragicomico.
*** MITOMANE
cuando soñabes de tener las alas de Icaro. Se aflojaren por el sol antes que el tu sueño se acabaro en el tragicomico.
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