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 RIFLESSIONI SULLA CULTURA

DI CELESTINO GRASSI

 

Negli ultimi anni mi è capitato più volte di cogliere nei discorsi degli amici e negli organi di informazione la sensazione di un lento ed inesorabile degrado della cultura, una disaffezione verso i valori che essa rappresenta, un giudizio negativo venato di rimpianto solo nei più consapevoli. Il fenomeno ha richiamato l'attenzione di illustri studiosi alcuni dei quali hanno prodotto ponderosi e meritevoli trattati che i più, vuoi per il linguaggio, vuoi per il numero delle pagine, si sono ben guardati dal leggere.

Queste poche righe vogliono essere solo un invito a riflettere sulla cultura e sull'importanza che essa riveste per l'individuo e per l'economia in un'area decentrata come l'Irpinia soprattutto in un momento di forti mutazioni sociali quale quello che stiamo vivendo. E' un invito rivolto ai giovani affinché non si lascino affascinare da falsi miti: gli uomini valgono per quello che hanno in testa non per quello che hanno in tasca.

 

Definiamo intanto l'oggetto della nostra attenzione in modo da poter sviluppare con la dovuta chiarezza le successive considerazioni: si intende per cultura quell'insieme di tradizioni letterarie, storiche, scientifiche che caratterizzano una comunità, piccola o grande che sia.

Cominciamo col notare che l'individuo, come eredita le sue caratteristiche fisiche da fattori genetici (i dati che gli arrivano dal DNA dei suoi ascendenti), così eredita dalla società in cui nasce la cultura, intesa come somma di esperienze e di vissuto. In questo senso anche gli Irpini hanno ereditato una cultura ed è bene sottolineare che questa cultura continua a veicolare valori positivi quali il culto della famiglia, il senso del dovere che si manifesta anche nell'impegno sul lavoro, lo spirito di sacrificio che consente di affrontare con dignità le prove più difficili.

 

Dicevamo dunque che ogni uomo vive all'interno di una tradizione che ne condiziona l'identità, sia a livello collettivo sia a livello individuale.

L'identità collettiva consiste in una percezione di comune appartenenza spirituale, amalgamata da una storia condivisa e proiettata verso un comune futuro. Essa trae alimento dai più diversi filoni: ad esempio le storie narrate di generazione in generazione accanto al fuoco, i proverbi, il linguaggio, i comportamenti del gruppo sono  tutti elementi fondamentali per la costruzione di una identità collettiva[1]. Questa identità collettiva rimane salda anche quando l'uomo razionale la esamina criticamente, rispettando e condannando ciò che egli giudica in termini positivi o negativi.

 

L'identità individuale è fortemente condizionata dalle interazioni familiari perché il bambino tende ad interiorizzare i messaggi ed imitare i comportamenti: si consolida in lui il senso di appartenenza ad una lunga catena di individui che hanno regole e storie comuni e questo è fondamentale nel processo di costruzione  di una solida personalità. Ma la conseguenza più importante delle considerazioni precedenti è che la memoria e l'identità sono strettamente correlate ovvero, per dirla in maniera più semplice una persona che non ha memoria, o che rifiuta la memoria, non sa chi è e quindi non possiede identità, con gravi conseguenze a livello di personalità[2].

 

Nella cultura di una comunità, così intimamente connessa con il senso di identità collettiva, oltre alla memoria gioca un ruolo importante la ritualità, intendendo come rito o rituale ogni atto o insieme di atti eseguito secondo norme costanti o codificate. Il rito è tipico del sacro e dei momenti più significativi dell'esistenza dell'uomo, come la nascita, la morte, la festa. Per renderne più chiaro ruolo e significato possiamo far riferimento nei nostri paesi irpini alle modalità legate al funerale ed in particolare alla stretta di mano ai parenti del defunto che testimonia la partecipazione di ogni singola famiglia al lutto. A Morra ad esempio il rituale si svolge nel cortile del cimitero: non è mai esistito un manuale di istruzioni ciononostante tutti sanno cosa e come fare[3]. In termini più generali i comportamenti stereotipati dei riti rinsaldano i legami della comunità e l'identità collettiva, creano un momento comunicativo più intenso tra gruppo ed individuo, un'emozione che accomuna le generazioni passate, presenti e future; insomma, sono anch'essi cultura.

 

E' importante evidenziare che siamo noi stessi ad alimentare la memoria e le tradizioni, a trasmettere ai giovani l'identità ed i valori nei quali cresceranno. In questo senso siamo determinanti nel costruire i punti di riferimento della società futura ed è fondamentale essere consapevoli delle responsabilità che ne derivano anche perché non si può trasmettere qualcosa che non si ha o in cui non si crede. Ciò che vive nel cuore di chi resta non muore mai!

 

Appare a questo punto evidente per i nostri piccoli paesi l'importanza della storia locale. Scrivere sui personaggi e sulle vicende di piccole comunità, tramandarne usi, costumi, dialetto significa rinsaldare, e talvolta recuperare, un'identità collettiva che si andava perdendo sotto la spinta di modelli estranei che tendono, spesso con fini poco nobili, a mortificare e cancellare le identità culturali delle minoranze. Questo processo, innescato dalla globalizzazione e spesso degenerato in strumento di sopraffazione dei più deboli, porta col tempo alla delegittimazione di valori e tradizioni che, anche per noi Irpini, costituiscono un patrimonio da difendere e tramandare. Denigrare la propria cultura è vero e proprio autolesionismo; senza arrivare ad un “orgoglio dell'appartenenza” basterebbe non abbandonarsi, in nome della moda, a processi di massificazione che preludono solo a devastanti “effetti gregge”. Vale quanto ebbe a dire un vecchio capo tribù africano di fronte al dilagare dei colonizzatori: “Non fatevi rubare l'anima!”.

 

La consapevolezza di una propria identità, il senso dell'appartenenza, purché non degeneri in sciocco campanilismo, contribuiscono ad una migliore consapevolezza dell'individuo e consentono di affrontare con maggior determinazione alcuni aggregati sociali particolarmente aggressivi che tentano di imporsi sui meno preparati millantando una pretesa superiorità culturale. Basti pensare ai tanti nostri emigranti costretti a trasferirsi per lavoro in contesti oggi più ricchi ma ostili e prevenuti, che subiscono battute e atteggiamenti di sapore razzista laddove basterebbe far notare che pochi secoli di benessere non valgono tre millenni di civiltà.

 

Dunque cultura è memoria, tradizione, ritualità ma anche senso artistico, credenze, diritto e persino morale, dato che la cultura non può definirsi tale se non è accompagnata da un'etica, perché solo così può essere alimentata dalla convinta motivazione degli uomini. Si fa cultura quando si è portatori di valori positivi per la società nel suo insieme, avendo ben chiaro che i valori non si predicano, si testimoniano.  Date, nomi, eventi sono nozioni : non bastano per fare cultura perché sono un mezzo e non il fine.

Il nostro grande conterraneo, Francesco De Sanctis, pur trovandosi come ministro della Pubblica Istruzione alle prese con un gigantesco problema di analfabetismo soleva ripetere che non bastava istruire i giovani, occorreva educarli, sottolineando in tal modo la differenza tra lo strumento (l'istruzione) ed il vero obiettivo (l'educazione, intesa come valori fondanti della società civile)[4].

 

E' compito di noi tutti educare i giovani, ovvero trasmettere i valori della cultura ed al riguardo è opportuno ricordare che i titoli di studio e la classe sociale non garantiscono il risultato. L'artigiano che trasmette agli apprendisti la passione e le esperienze fa cultura. Il professore, l'accademico, il politico che pratica il favoritismo, o peggio ancora il nepotismo, invece di premiare la meritocrazia, non fa cultura perché opera contro l'interesse comune: dà solo un pessimo esempio. Chi promuove la libertà di pensiero, chi indaga sulla propria storia per capire il presente e migliorare il futuro, fa cultura. Chi si adopera per migliorare se stesso non per soli fini personali ma per contribuire, con l'azione e col pensiero, al miglioramento della comunità in cui vive, fa cultura.

 

Abbiamo visto che il primo grande vantaggio della cultura è a livello personale e sociale. Essa assicura identità personali e collettive più consapevoli e preparate e quindi più difficilmente suggestionabili e pone l'individuo in condizione di valutare con il dovuto raziocinio le idee e i valori che gli vengono proposti.

 

Ma esiste un secondo importante vantaggio che è di tipo economico.  La cultura è anche conoscenza, e la conoscenza è un valore. In un mondo complesso come quello odierno, che tende a privilegiare l'imprenditorialità e l'iniziativa, chi è più preparato non solo ha più idee ma si muove meglio e con più determinazione e questo si riflette positivamente sul suo fatturato d'impresa o sul suo stipendio individuale. L'uomo vale per quel che sa ed il sapere è un patrimonio che non si può perdere. La cultura ha anche altre valenze economiche come il folklore, l'enogastronomia, il patrimonio artistico, l'ambiente: basti citare l'Alto Adige che rappresenta un caso esemplare di identità collettiva che ha basato sulla coesione culturale il proprio successo economico e di immagine.

La cultura dunque, con tutte le sue componenti, è lo strumento principale di elevazione dei singoli e dei popoli e la conclusione di tutte le precedenti considerazioni conferma l'attualità e la validità dell'esortazione del De Sanctis: “Studiate, giovani, educatevi, perché l'Italia sarà quello che sarete voi!”.       

 

Celestino Grassi

 


[1]    1  L'identità collettiva viene costruita trasmettendo dati e informazioni da una generazione all'altra, sia oralmente        sia in forma letteraria o artistica. E' ascoltando gli stessi racconti, guardando gli stessi testi che si raggiunge il senso di identità comune. In questa ottica la narrazione di leggende tradizionali e aneddoti familiari costituiscono uno dei più efficaci veicoli di trasmissione della continuità collettiva ed inoculano nel bambino il senso di eterno legame tra passato, presente e futuro.

[2]   Un esempio tipico è rappresentato dal meridionale trapiantato al nord che per farsi accettare nel nuovo contesto sociale ne assimila pregiudizi e luoghi comuni, spesso intrisi di razzismo e di disinformazione. Per accreditare poi una sua nuova identità ostenta le più severe critiche nei confronti della cultura e della terra d'origine verso le quali arriva a provare un senso di vergogna. Lo squilibrio psicologico che ne deriva non è dovuto all'aver maturato una diversa cultura attraverso il filtro dell'obiettività e del senso critico ma dall'averla accettata come violenza.

[3]   Analoghe considerazioni potrebbero farsi per i momenti di festa, ad esempio sul corteo nuziale che coinvolge l'intero paese.

[4]   E' interessante notare che Mussolini volle ribattezzare il Ministero della Pubblica Istruzione in Ministero dell'Educazione Nazionale proprio per evidenziare la volontà di trasmettere ai giovani i nuovi valori dello Stato fascista.